L’inclinazione dell’asse
terrestre fa si che il sole, nel suo ciclico moto apparente intorno alla terra,
non sorga né tramonti sempre nello stesso punto dell’orizzonte, ma segua un
percorso lungo una linea chiamata eclittica. Nel nostro emisfero il sole
raggiunge nel solstizio d’inverno, tra il 21 ed il 22 dicembre, il punto di
declinazione minima lungo l’eclittica: è il giorno con il periodo di
illuminazione più breve: al termine di un percorso discendente, esso “sosta”
(sol-statio) brevemente nel cielo, per poi riprendere il suo percorso
ascendente.
Dopo i fulgori della piena
luce estiva, succede il periodo dell’affievolimento, durante il quale la luce
sembra volersi progressivamente raccogliere su se stessa, fuggire dalla vista
del mondo per concentrarsi in un punto, come se desiderasse ritemprarsi e accumulare
nuove energie per tornare poi ad irraggiarsi con rinnovato vigore.
Il sole che torna a
riempire di sé il cielo, dando luce e calore alla terra e propiziando così il
risveglio della natura, è la manifestazione più evidente ed intuitiva della
ri-nascita, del rinnovamento della vita.
Non stupisce quindi che il
fenomeno astronomico del solstizio d’inverno, in quanto punto di svolta del
ciclo solare, abbia assunto un elevato valore simbolico e sia stato associato
da molti popoli, tanto presenti quanto passati, all’evento fondante delle rispettive
civiltà e culture, collocandovi tradizionalmente la nascita delle proprie
divinità maggiori.
Tra il 21 ed il 25 dicembre, infatti, gli
antichi Egizi festeggiavano la nascita dei loro Dei Solari: Osiride, il
Salvatore, figlio della Dea Vergine Neith, e Orus, figlio di Iside. Nella
religione mitraica le maggiori cerimonie in onore di Mithra, il Mediatore, venivano
fatte il 25 dicembre. Il genetliaco di Bacco in Grecia e di Adone in Siria
erano celebrati al solstizio d’inverno, a Babilonia la dea Istar dava alla luce
il dio Tammuz, suo unico figlio, mentre nel Messico pre-colombiano nasceva il
dio Quetzalcoath e l’azteco Huitzilopochtli; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha,
in Oriente; Krishna, in India; e l’elenco potrebbe continuare.
Nell’antica Roma, ai tempi
dell’impero, una cerimonia annuale salutava il “Dies Natalis Solis Invicti”, il giorno della nascita del Sole invincibile,
che era praticamente incluso all’interno di un più vasto ciclo di festività che
i Romani chiamavano Saturnalia, tra le più importanti dell’anno.
Apparve pertanto naturale
anche per la nascente religione Cristiana collocare la nascita di Gesù il
Cristo nel medesimo periodo. La scelta definitiva per il 25 dicembre fu fatta
dal papa Giulio I nel 390.
Naturalmente per ciascuna delle
civiltà e religioni citate l’evento da commemorare era ed è la nascita del Dio,
non il solstizio in quanto tale. Ma la potenza evocatrice del fenomeno, la sua
valenza archetipica, è così forte che per tutte quelle espressioni religiose è
risultato opportuno collocare le proprie celebrazioni principali in tale
periodo dell’anno.
La forza del solstizio non sta nel
fenomeno in sé, ma in ciò che può evocare alla mente, al simbolismo che l’uomo
vi associa e che può essere in grado di risvegliare in lui quell’attenzione e
quella consapevolezza che possono condurlo verso la conoscenza del proprio
essere.
Al di là quindi delle forme
specifiche che ciascuna espressione religiosa ha assunto presso ogni cultura,
noi vorremmo cercare di evidenziare quel senso universale, quell’aspetto della
Tradizione Primordiale che hanno in comune, e che si connette al solstizio d’inverno
quale evento più idoneo a simboleggiarlo.
Noi scorgiamo, in questo ciclico
rinascere del sole, il palesarsi della forza del “Fiat Lux”, l’evento primigenio
per il quale la Luce
emerse dalle Tenebre, rendendo così manifesto il disegno Divino. E’ quindi la
celebrazione della Creazione, dell’origine della vita quale noi la conosciamo e
che ogni religione attribuisce al volere della propria divinità creatrice, che
viene associata alla rinascita del sole. Questo suo spengersi per poi tornare
ad irradiarsi per essere il principale fautore del rifiorire della natura, ci
rende in qualche misura memori dell’evento primordiale della creazione, quale
momento culminante di un processo di maturazione nel quale la mente di Dio
pensa se stesso ed emana la propria potenza, la propria grazia, la propria idea
di Sé, per far fiorire la vita. Ciò che era in potenza è ora in atto, nella
forma e nei modi da Dio voluti.
In questa ottica, l’evento
primigenio della Creazione riacquista una dignità ed un ruolo di primo piano, che
non viene vanificato dal supposto comportamento degenerativo dell’umanità, alla
quale si addebita la causa del male presente nel creato, tanto da rendere
necessario un intervento riparatore in grado di “redimerla”. In particolar modo
nella religione Cristiana, questo aspetto ha preso il totale sopravvento, tanto
da relegare la creazione in secondo piano rispetto al risalto dato al
“sacrificio” ed all’opera salvifica del Cristo. Ma se consideriamo il male come
un aspetto nel quale necessariamente si estrinseca il dualismo che conforma la
realtà nel nostro piano dell’esistenza, possiamo allora rivedere sotto una
diversa luce la valenza della Creazione, anche in rapporto alla figura del
Cristo. Allo stesso modo, anche negli gnosticismi prevale un atteggiamento
negativo nei confronti della Creazione, in quanto si pone l’accento
esclusivamente sul ruolo del Demiurgo e sulla “prigionia” alla quale
quest’ultimo ha costretto la spiritualità dell’uomo.
Ma se veramente, come a
noi sembra, la grande importanza attribuita all’evento del solstizio d’inverno
adombra una devozione antichissima all’opera creatrice di Dio, nonostante il
maggiore accento che da 2000 anni si attribuisce alla sua opera salvifica e
riparatrice, allora dobbiamo vagliare quell’evento primordiale sotto una diversa
luce.
Per farlo, ci avvaliamo
della cosmogonia gnostica, che rende conto della Creazione in questi termini:
nell’Avan-principio, prima ancora dell’essere e del non essere, il Pro-pator,
l’unità primordiale che regna nel silenzio, non è nessuna delle cose, benché le
contenga tutte in potenza nel proprio pensiero. E quando egli espresse il suo
pensiero, prendendo coscienza di Sé, emanò la Parola, il Logos, la vibrazione-suono
che diede origine alla serie di emanazioni successive delle quali la materia ed
il mondo sensibile che ci circonda sono la risultante da noi conosciuta. Nel
passare dalla potenza all’atto, il Pro-pator diviene Pater, Padre, e il
Pro-archè diviene Archè, Principio, attraverso la Parola , che come tale è
espressione di un pensiero Divino che tra tutte le possibilità ha scelto per l’essere
e non per il nulla (non-essere). Sin dall’origine, sin nel pensiero divino ha
preso forma e si è poi manifestata la “sostanza” che ci compone, la quale si è
ispessita, condensata, appesantita passando per successive emanazioni e
allontanandosi dalla fonte primaria, ma che resta comunque la risultante del
progetto, della volontà manifesta del Dio Ineffabile.
L’energia del pensiero in atto è
l’amore, che non è amore senza l’oggetto da amare. Per cui l’Ineffabile emana
l’oggetto amato. E nella pienezza del Pleroma, la sfera divina nella quale
brilla la Vera Luce, la volontà creatrice della Parola-Logos emana la forma
dell’Uomo Celeste, l’Adam-Kadmon archetipo dell’Umanità.
Quella della Genesi, la Creazione narrata dalla
Bibbia ed opera del Demiurgo, è solo l’ultima parte del processo, l’ultima delle
fasi emanatorie. Per quanto alcuni gnosticismi sono portati a considerarla solo
in termini negativi, in quanto tramite essa il Demiurgo ha imprigionato
l’essenza divina nella pesantezza della materia, provocando persino la
cancellazione del ricordo della propria reale origine, noi siamo dell’avviso
che la Creazione
debba essere comunque considerata parte integrante dell’originario progetto
divino del Padre Ineffabile: il Demiurgo è un essere divino, che volendo
imitare il Principio, ha modellato la “sostanza” primordiale, e ad imitazione dell’Uomo
Celeste, ha dato origine all’umanità ed al nostro mondo sensibile. Quale
risultante di un disegno dell’Unico, non possiamo attribuirgli valenza
negativa: l’errore non è la creazione in sé, ma il fatto che il Demiurgo
l’abbia considerata esclusivamente opera sua e pensasse che essa potesse
brillare di luce propria, il fatto che Egli si ritenesse il riferimento e il
potere ultimo per quel suo mondo, mentre il Potere era altri sopra di lui. Egli
tiene gli uomini nell’inganno e nella menzogna, facendogli credere che la
nostra dimensione sia la sola, unica e vera realtà, mentre non è che un riflesso,
una copia della Primordiale Realtà che dimora nel Pleroma.
Dare centralità alla volontà
creatrice del Dio Ineffabile, inoltre, implica dare risalto alla figura
dell’Uomo in rapporto a Dio stesso. Poiché è nel Suo disegno che l’uomo, dotato
di intelletto, sia ontologicamente in grado di pensare Dio, ciò lo rende
“creato a Sua immagine”, perché anch’esso dotato della capacità del pensiero
creativo, e quindi anch’esso in grado di passare dalla potenza all’atto, ovvero
di rendere operante quella valenza divina intrinsecamente posseduta. L’uomo in
grado di rintracciare in sé questa scintilla, questa eredità o valenza divina,
ha in potenza la capacità di reintegrarsi con l’Origine, evento al quale lo
stesso Dio anela per ricostituire la pienezza del Pleroma. A nostro giudizio il
disegno sottostante alla creazione è finalizzato e necessario, risponde cioè ad
un preciso progetto divino e tende ad una “evoluzione” e ad una sempre maggiore
consapevolezza e presa di coscienza da parte dell’uomo circa il proprio destino
ultimo, che deve essere quello del proprio ricongiungimento spirituale col
Padre, al fine di ricomporre l’unità del Tutto.
Ma in questa ottica non serve una
azione “redentrice” per un peccato commesso (quello di esistere?), quanto
piuttosto un risveglio delle coscienze, una rinnovata consapevolezza dell’uomo
circa la propria origine e potenzialità, una percezione del Vero oltre la
realtà adombrata, la ricerca di una “via” che possa condurre alla
reintegrazione: è questa la missione compiuta dal Cristo, che con il sacrificio
di sé sulla croce degli elementi ha reso possibile la propria ascesa alla casa
del Padre, indicando così a tutti la strada da compiere e rendendo completa la
creazione, perché ciò che “dal Padre proviene, ad Egli possa fare ritorno”.
E da 2000 anni, al solstizio
d’inverno, festeggiamo la manifestazione del Cristo, attraverso la nascita di
Gesù, che rappresenta il fior fiore della creazione divina: è il Dio Ineffabile
che si manifesta non solo nel creato, ma mediante il suo stesso Spirito
incarnato, uomo tra gli uomini affinché possa radunare gli spiriti risvegliati
e indirizzarli alla reintegrazione con il Pleroma.
Si intravede il compimento al
quale deve necessariamente giungere il processo che ha avuto origine con la
Creazione, un processo tuttora in atto ed in itinere finché il nostro ritmo
ciclico di Vita-Morte possa completarsi,
ad imitazione del Cristo, con la Resurrezione o ritorno alla casa del Padre.
edita
dall’Accademia di Studi Gnostici – Via San Zanobi, 89 – Firenze
“L’avvicinarsi del Natale che col
solstizio d’inverno segna il rinnovarsi di un evento carico di simboli
ancestrali, religiosi ed anche poetici ci invita a riflettere sul significato
profondo della Rinascita o Rinnovamento della dimensione terrestre. Rinnovarsi,
rinascere spiritualmente è ampliarsi, cioè rendersi disponibili a conoscenze
più vaste; e ci ampliamo solo negli altri; e ogni vita ha già in sé la
possibilità del rinnovamento, della Rinascita.
Il Solstizio d’inverno prelude ad
un nuovo inizio, e, a fronte di ogni reinizio annuale, si aprono ogni volta
opportunità di cambiamento in meglio; così ogni passaggio da un anno all’altro
è un evento che induce a riflettere sui passi falsi fatti, sui propositi
falliti, sulle speranze disattese.
La vita fluisce in continuazione
e nel suo decorso pervade esseri e cose con i suoi accadimenti lieti e dolorosi
per portarli tutti al loro compimento, come ogni fiume va verso la sua ultima
foce” (Loris Carlesi).
Adoperiamoci, Fratelli, per
compiere la nostra missione, non indugiamo, non lasciamoci sopraffare dal
timore della nostra inadeguatezza o dalle difficoltà che potremmo incontrare
nel nostro cammino: ricordiamoci che a similitudine del ciclo solare, ai picchi
succedono le valli, alle cadute le risalite: così come non dovremmo godere dei
successi, che sono comunque destinati ad essere temporanei, non dobbiamo in
egual misura lasciarci avvilire e vincere dai momenti bui, perché la luce è
destinata a risplendere di nuovo nella sua pienezza.
A.T. Firenze